Xiaolu Guo è una scrittrice cinese, anche inglese, anche regista. Xiaolu Guo è una ragazza che nasce in Cina e arriva fino a Londra, ma ciò che descrive nella sua biografia I nove continenti non è tanto il viaggio esteriore, quanto quello interiore, la crescita. Non per niente il titolo originale del romanzo, che a solo un anno dalla pubblicazione è già in lizza per cinque premi letterari, recita: Once upone a time in the East. A story of growing up.
La piccola Xiaolu inizia il suo viaggio per i nove continenti a Shitang, un villaggio di pescatori hakka dello Zhejiang. Negli anni ’70 Shitang è un luogo isolato, lei vive con i nonni, una vecchina amorevole che non sa leggere ed ha i piedi fasciati sposata ad un ex pescatore brontolone e manesco.
La sua è una dinastia di nomadi dell’Asia centrale, non ci sono tracce di cinesi Hàn nel suo sangue, ma lei ancora non lo sa. Che differenza fa? Radici.
Ogni capitolo si apre con un estratto delle avventure di Viaggio in Occidente, il capolavoro della letteratura cinese che è insieme epopea e didascalia: come i protagonisti del grande classico, anche Xiaolu ha una missione, trovare il suo posto nel mondo.
Guo Xiaolu (in cinese si dice prima il cognome e dopo il nome) è una guerriera: giudica tutto con lucidità e senza sovrastrutture, la famiglia, i contesti culturali in cui si trova a vivere durante il suo percorso e persino la storia, con una razionalità che non lascia spazio ai giri di parole. Le sue descrizioni della mamma e della Cina – entrambe le cerca e le combatte in egual misura – sono senza sconto, l’amore sa essere doloroso quando vuole.
Sintetico ma affilato, questo romanzo di formazione – e di affermazione – è una spada.
Le immagini tagliano di netto tutte le illusioni sulla Cina pre e post rivoluzionaria e vincono senza duello le edulcorate storie occidentali di gioventù interrotta alla J. D. Salinger. Forza, giovane Holden, mettiti a confronto con la giovane Xiaolu, figlia di mamma ex Guardia Rossa e papà artista di stato, che per dipingere paesaggi marini precisi e belli si fa tutta la costa orientale a piedi. La giovane Holden cinese si ribella a tutto e tutti, la scuola, le regole sociali, la politica e il confucianesimo. Si ribella persino alla ribellione stessa.
L’allineamento sfugge agli osservatori testardi e, ironia della sorte, la sua capacità di vedere e descrivere così puntualmente le cose del mondo ha per contraltare una fortissima miopia. E io che pensavo fosse difficile leggere l’orologio di cucina, prima di mettermi gli occhiali! Non immaginavo fosse ben peggio dover scrutare dal fondo della classe una lavagna piena di hànzi.
Arguta, ma del tutto incapace di adeguarsi istintivamente alle politiche ed ai cambiamenti, regala al lettore un sacco di perché, tanto che viene da chiedersi se questo romanzo di formazione non sia anche e soprattutto opera di informazione.
Il cibo
I nove continenti è il libro del cibo che non c’è. Xiaolu lotta per la sopravvivenza, perché ha sempre fame, perde i sensi e suo fratello maggiore è di regola il primo destinatario del (poco) cibo che gira in famiglia.
In modo del tutto inaspettato per il lettore, ad un certo punto della sua infanzia capisce quale alimento le darà le energie per crescere e come farà a procurarselo: questo è il ritratto della voglia di vivere, letteralmente.
Il sapore del romanzo
È un libro così intenso che mi dispiace parlarne, preferirei conservare le sue parole vivide e salaci nel cuore.
È un libro che tracima dolore, a dispetto della bellissima copertina speranzosa. La ragazza che punta l’orizzonte, con in testa un cappello da panda e una valigia al seguito, ha uno stile duro, tipicamente cinese, crudo. Niente fronzoli narrativi o indugi descrittivi.
Xiaolu non si lagna, non frigna, semplicemente ci passa le carte della sua partita, con una sincerità che potrebbe quasi scambiarsi per distacco. Dolore asciutto, così secco che anestetizza come fanno certe sberle forti o il primo bicchiere di grappa.
C’è quiete dopo la tempesta, sprazzi di serenità per Xiaolu quando scopre di amare la poesia occidentale, “perché gli occidentali sapevano scrivere cose come queste e noi cinesi no? Ero stupefatta dalla sua chiarezza e dalla sua semplicità”. Xiaolu ama l’arte, il suo insegnante di scienze, il mare e suo padre.
Riuscirà, infine, a formarsi una coscienza omologata e una sensibilità insensibile (e sostenibile)? Troverà la sua forma artistica all’Accademia di Pechino oppure tra gli uggiosi paesaggi gallesi?