[中国人] Gente comune (in Italia, in Cina)

Qualche tempo fa ho lanciato un sondaggio online, cercavo di capire quali argomenti i lettori di queso blog giudicassero più interessante approfondire. Una risposta, in particolare, mi ha solleticato: si voleva sapere di più sulla gente comune in Cina.

Ho pensato a lungo sul significato di questa espressione, “gente comune”. Credo che in Italia per gente comune si intenda l’insieme delle persone di ceto medio o medio basso, ma a ben pensarci è proprio in Italia che nessuno si definisce volentieri parte del ceto medio o medio basso, perché tutti sono sempre pronti a lamentarsi dei più ricchi e più potenti, ritenendosi in prima persona meno ricchi e potenti di quanto vorrebbero.

Esiste una sorta di sindrome dell’eccezione, in Italia, per via della quale ognuno si giudica più speciale del proprio vicino di banco, unico, dunque meritevole di un’eccezione alla regola (fiscale, sanitaria, civile, scolastica… andiamo avanti?).

Gli italiani non sono gente comune, singolarmente presi si credono un po’ tutti dei creativi, dei pezzi unici, individui eccezionali, in grado e perciò titolati ad inventare la scorciatoia per sé (e per l’amico); gli italiani amano contestare senza essere contestati e si sentono sempre troppo tassati per le proprie tasche. Gli italiani non si sentono gente comune, no, piuttosto son gente da costume. Eppure, il mazzo di carte delle cento singolarità italiche visto da fuori non è altro che un mazzo di carte, ovvero un gruppo con tratti omogenei, spesso caricaturali o resi tali.

Gente comune italiana per gente comune americana. Is that “gente comune” just a matter of luogo comune?

Gli americani sì invece che hanno una cospicua fetta statistica che si autodefinisce senza manie di grandezza “gente comune”, aka ordinary people. L’espressione non ha un significato politico in questo contesto, piuttosto invoca una sorta di autoproclamata modestia. La gente senza storia d’America è l’insieme degli uomini e delle donne che non hanno un posto nella Hall of Fame della Storia a stelle e striscie, ma che comunque ogni giorno affronta la storia della propria esistenza (ovvvero le menate della vita): i turbamenti d’amore che canta John Legend, i drammi di famiglia dei film, l’assicurazione sanitaria che non si riesce a pagare, l’acqua che costa più della diet coke. E pur tuttavia questa gente comune non si sente necessariamente straordinaria per ciò che fa o ciò a cui rinuncia, non reclama eccezioni né s’inventa stratagemmi davinciani, we’re just ordinary people / we don’t know which way to go, ‘cause we’re ordinary people / maybe we should take it slow.

Allora, mi sono detta, qual è la gente comune (cinese) di cui si vuol leggere/sentir parlare? In Cina, tutti i cinesi sono gente comune, perché tutto il popolo è un popolo. Cercando di mettere da parte le questioni prettamente politiche e ideologiche, il senso cinese di “essere una sola Cina” riguarda soprattutto il senso di appartenenza: come un essere umano si sente prima di tutto essere umano (o almeno sarebbe auspicabile che si sentisse tale), così un cinese si sente (probabilmente) prima di tutto un (comune) cinese. Questo non significa non avere sogni, aspirazioni o consapevolezza della propria unicità come prodotto di una irreplicabile ricombinazione genica (per qualcuno: con disegno divino annesso), significa però mettere mediamente prima il senso di appartenenza ad una comunità e dopo le istanze individualistiche.

Certo, Jack Ma – fondatore di AliBaba – non rientra, dal punto di vista di un italiano, nella categoria concettuale di “gente comune”; sento già mormorare: quello è ricco sfondato, che cos’avrebbe di comune? Il fatto è che dobbiamo far chiarezza sul significato dell’aggettivo comune, non mi focalizzerei sul senso di comune come sinonimo di “popolare”, “ordinario”, “qualunque” (banale e/o povero) quanto sull’idea di comunità che la parola porta con sé, comune a chi?

Esistono tante comunità immaginate di persone, che le persone stesse creano, alimentano, scelgono. Esistono infinite comunità di pratica, intese come “gruppi di persone che condividono un interesse, dei problemi o una passione per un argomento e che approfondiscono le proprie conoscenze e abilità interagendo ed evolvendo insieme”. (Wenger; 1998). In questo senso diciamo che il concetto di “gente comune” varia a seconda di chi lo pensa, includendo ed escludendo soggetti diversi per lingua, cultura, reddito, istruzione, abilità o disabilità e molto altro.

I pubblicitari (ed i populisti) sanno molto bene che c’è differenza tra la gente comune intesa come rappresentazione oggettiva dei caratteri socio economici della maggioranza (o della media) degli abitanti di un certo luogo in una data epoca e la gente comune intesa come immaginario condiviso, comune ai partecipanti di una certa comunità (ideale, non per forza nazionale). Ad esempio, gli italiani non si riconoscono solo in comunità locali o territoriali, perché se anche un pisano si sente molto pisano e per nulla senese sono certa che è in grado, all’occorrenza, di frazionare ulteriormente la pisanità in enne identità (pisane) più piccole, se una sola di esse rappresenta i suoi interessi di quartiere, di vicinato, di singolo.

Al contempo, però, gli italiani si riconoscono volentieri nella comunità immaginata degli italiani, che ha tante possibili rappresentazioni. Una di esse è l’istantanea alla Mulino Bianco (qui un simpatico Zelig in tema) o alla Barilla (qui pubblicità storica con piccola lezione brillante di comunicazione): la famiglia felice, il borgo naturale con cibo naturale, lo stile di vita libero, rilassato e sano. Le tradizioni ed i biscotti fatti con la farina macinata a pietra, da Banderas (che parla italiano con la gallina italiana). I bimbi che tornano a casa da scuola mentre si cala la pasta e tutti salvano i gattini. Guardare lo stesso romanticissimo cielo di stelle a distanza la sera, fare colazione insieme e senza bronci la mattina.

Ho pensato di sdoppiare il filone gente comune cinese: da una parte, quella alla Mulino Bianco/Barilla, perfettamente rappresentata da due video influencer celebri, Dianxi Xiaoge (di cui parlo in questo post) e Liziqi, blogger trentunenne del Sichuan che di professione “si occupa di cibo e vita di campagna, imprenditrice e celebrità di internet“. La vita che queste due ragazze rappresentano nei loro video è la vita della gente comune nelle campagne cinesi? Non so rispondere con certezza, azzarderei questa stima, circa tanto quanto Barilla e Mulino Bianco ritraggono la gente comune dei borghi d’Italia.

Liziqi ha un canale Youtube da 16 milioni di follower, viene seguita da una equipe video e racconta il sogno della sostenibilità, delle tradizioni, della gioia bucolica con un gusto antico e moderno. Soft power?

Dall’altra parte, c’è la gente comune cinese intesa come comunità cinese in Cina, ovvero tutti. Come si fa a parlare di 1,4 miliardi di persone che abitano un Paese gigante, variopinto e che per giunta va alla velocità della luce in poche righe e senza banalizzare o bluffare? Semplice, farò come fece mia zia Teresa per farmi conoscere la “vera America” e la sua “gente comune” non appena misi piede in casa sua, in America appunto: diverse ore di giro in macchina [per la cronaca, soffro fortemente il mal d’auto].

Girare in macchina permette di osservare per bene la gente comune, quelli che vanno al lavoro, quelli che passeggiano, il comportamento dei guidatori imbottigliati nel traffico. C’è tempo e modo di leggere i cartelli, abituare l’occhio alle costruzioni, si possono percorre grandi distanze di un Paese e intanto ragionare su similitudini e differenze. Il capoluogo del Sichuan, quella stessa regione in cui sta Liziqi, è Chengdu. Facciamo un giro in centro, vi va?

Sul canale Walk East si trovano diversi video dedicati alle aree ubane e rurali di Chengdu, in Sichuan

Guidare in città è una delle attività più squisitamente autentiche, secondo me, che si possono svolgere per farsi un’idea realistica della vita nei luoghi urbani. Questo video in alta definizione è un vero POV al volante, anche i suoni sono gli stessi di quando ci si trova alla guida. Cosa c’è di più comune di uno che attraversa la strada e della gente assiepata al semaforo, dei capannelli alla fermata dell’autobus, dei palazzi e degli uffici, di quello che ti taglia la strada in monopattino e delle vetrine dei negozi da guardare quando si è fermi in coda? Grazie a Youtube e alle fotocamere da millemila megapixel possiamo farci un’idea precisa e vivere un’esperienza immersiva al solo costo di un po’ di pazienza (il video sono 41′ e il fast forwarding non vale), sforzando un poco lo spirito critico e di osservazione.

Qual è la vera Cina, la Cina della gente comune? Entrambi i video la rappresentano, sulle strade (vermanete cinesi) del secondo video ci sono macchine guidate da cinesi (veri) che vanno a fare cose cinesi (lavorare, trovare amici e parenti, compere, viaggi, eccetera); nell’immaginario comune che riguarda Cina e cinesi, però, c’è anche una porzione di storia tradizionale che non si può ignorare, richiamata dai fotogrammi del primo video: i qipao, i cappelli di bamboo, le campagne. Se uno di quei cinesi del video di Chengdu Downtown decidesse di andare in gita a Xieyuan (video subito sotto) oppure a Pechino passeggiando per gli hutong oppure a Wuzhen, allora certo si unirebbe alla comunità di pratica di tutti coloro (cinesi e non) che si identificano in quei luoghi e nella storia che racchiudono.

C’è un tipo di curiosità culturale e turistica che tende a sovrapporre la sete di verismo con la caccia alla povertà. Mi spiego: quando per cercare “la vera Berlino” oppure “la vera Praga” o “la vera QuelCheVuoiTu” si iniziano a scandagliare tutte le periferie della città e i centri sociali e gli angoli che puzzano di piscio dei sottopassi si sta equivocando la voglia di verità con la pruriginosa ricerca del sottoprodotto socio culturale altrui, forse per poter poi dire “ecco, anche loro sono proprio come noi” oppure “ecco, guarda che poracci, noi stiamo più avanti”. Chiedersi com’è la gente comune cinese non credo porti giustificazione a coloro che girano le province più arretrate, i baracchini di noodles più scassati se poi se ne fanno vanto, come grandi intenditori esterofili. Personalmente, sostengo il motto a ognuno le miserie sue, perché se voglio vedere la difficoltà mi faccio un giro in certe aree che ti dico io a pochi chilometri da casa, non c’è mica bisogno di andare fino in Cina. E poi però non metto le mani su Youtube ma sul cuore per cercare di rendermi utile come posso.

Per chiudere in good vibes, il mio video preferito per la categoria gente comune: un simpatico madrelingua anglofono che ha studiato il cinese per benino e ora vive a Wuhan, dove va a spasso e della cui comunità forse si sente pure un po’ parte (chiacchiera con altra gente comune), poi mangia dei ravioli. A seguire: passeggiata nella natura del Sichuan (per proseguire con il confronto, a parità di regione, ma c’è anche la versione Henan se si vuol cambiar minestra).

Foto di copertina: Pechino, di zhang kaiyv – tutti i diritti riservati

One Comment Add yours

  1. cormi57 ha detto:

    …“ecco, guarda che poracci, noi stiamo più avanti”….

    Purtroppo, dai media italiani, telegiornali principalmente, il messaggio che viene veicolato è proprio quello di cui sopra. Fino a ieri io sapevo solo che a WuHan mangiano i pipistrelli, e da altri servizi sapevo solo che i cinesi mangiano i cani. Credo di non dover aggiungere altro per portare ragioni alla mia impressione che dai media ufficiali italiani passa sempre e solo il messaggio:

    “… guardate in che modo penoso questi selvaggi gestiscono le loro cose…”

    che è il vecchio atteggiamento dell’Europa colonialista dei secoli XVIII, XIX, XX, dei romanzi alla Joseph Conrad, se la memoria di quei romanzi non mi tradisce.

    Grazie a questo suo articolo, oggi so che c’è una Cina rurale e una Cina urbana.
    So che la fuga dalle campagne è stata rapidissima. Che traumi ha prodotto?

    Grazie al suo articolo, oggi so che esiste un senso della comunità che è profondamente radicato nella cultura cinese. La comunità che si identifica nella famiglia prima, poi nel villaggio, poi nella città, poi nella comunità cinese intera. E’ questo atteggiamento che ha prodotto il vertiginoso sviluppo economico della Cina?

    A differenza di noi europei che invece abbiamo radicato e sviluppato il senso dell’individuo, del singolo individuo. Ciò è avvenuto partendo dalla tradizione democratica delle poleis ateniesi, per giungere fino alle esperienze democratiche della comunità europea.

    Bisogna constatare, e questa è una mia impressione, che mentre l’Europa oggi rischia di soccombere trascinata da un’eccessiva frammentazione politica e ideologica, frammentazione individualista, la comunità cinese sembra avere sviluppato un senso della solidarietà sociale, un senso della comunità, che ha qualcosa di sorprendente e mai sperimentato nella tradizione culturale europea.

Lascia un commento